La famiglia può essere considerata come un sistema aperto caratterizzato dalla tendenza all’omeostasi e al cambiamento. In quanto sistema interpersonale, la famiglia rappresenta il contesto nel quale si realizzano i processi di sviluppo e di crescita dei suoi membri.
I comportamenti assumono significato in rapporto alla situazione e alle circostanze specifiche e privi di contesto i comportamenti non hanno alcun significato.
La famiglia contribuisce a costruire un senso di identità nei suoi membri attraverso l’esperienza dell’appartenenza e della differenziazione.
Il sistema familiare rappresenta anche il principale contesto di apprendimento per ogni individuo definito anche contesto di apprendimento.
Bronfenbrenner (1979) ha sistematizzato questi concetti attraverso la teoria ecologica dello sviluppo, sottolineando l’importanza dell’ambiente sociale allargato. Egli parla di ambiente ecologico, per indicare il contesto di sviluppo dell’individuo, e lo rappresenta come un sistema di strutture concentriche, l’una inclusa nell’altra.
LA STRUTTURA FAMILIARE
Lo studio della famiglia da un punto di vista strutturale si deve principalmente a Salvador Minuchin (1977),che ha concettualizzato la famiglia come un sistema caratterizzato da una struttura ben definita. In questa prospettiva, con il termine di struttura familiare si indica “l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono”. Per essere funzionale, un sistema deve essere sufficientemente flessibile e adattarsi ad eventuali richieste evolutive o ambientali.
Soprattutto nelle famiglie nucleari con figli bambini o adolescenti, il buon funzionamento è determinato dal fatto che i genitori dovrebbero essere in grado di esercitare la loro autorità con potere esecutivo, seppure in modo flessibile e razionale, senza che vi siano eccessive disparità di potere tra padre e madre. Oltre ad una netta gerarchia generazionale, un altro parametro importante per un valido funzionamento familiare è la chiarezza dei confini tra i sottosistemi, indipendentemente dalla specifica composizione della famiglia. I confini possono essere definiti come “le regole che presiedono al passaggio dell’informazione”. Loro funzione è la protezione della differenzazione del sistema nei vari sottosistemi che lo compongono.
I confini dovrebbero essere valutati non solo sul piano quantitativo, ma anche su quello qualitativo: l’informazione che passa deve infatti essere pertinente, cioè adeguata alla relazione esistente tra i comunicanti e alla fase del ciclo vitale in cui essi si trovano. Ad esempio, è ben diverso parlare di difficoltà coniugali o di complesse problematiche economiche o lavorative a un figlio adulto o a un bambino: mentre nel primo caso l’informazione trasmessa può essere pertinente, nel secondo certamente non lo è.
IL CICLO VITALE FAMILIARE
Trasformazioni e cambiamenti hanno luogo continuamente nelle persone nel corso della vita, e numerosi autori hanno descritto il ciclo di vita individuale, individuando alcuni caratteristici periodi di transizione, in occasione dei quali avviene un netto mutamento nella percezione soggettiva del tempo. Il ciclo vitale familiare rappresenta dunque un modello evolutivo che esamina e descrive i cambiamenti che tipicamente avvengono in una famiglia nel corso degli anni.
E’ possibile distinguere, nella tradizionale famiglia occidentale moderna, cinque stadi fondamentali legati a cinque diversi eventi critici:
In seguito ad un matrimonio o ad una convivenza, si ha la formazione della coppia; successivamente, con la nascita dei figli, si entra nello stadio della famiglia con bambini; quindi, allorché i figli entrano nell’adolescenza, si ha la fase della famiglia con adolescenti; a quella segue con lo svincolo dei figli e la loro uscita da casa, la fase della famiglia “trampolino di lancio”, infine il pensionamento e la malattia o la morte della prima generazione caratterizzano la fase dell’età anziana.
I CONFLITTI FAMILIARI
Il conflitto è una crisi della relazione tra le parti in cui sono presenti una contraddizione di scopi e un disagio, una sofferenza. Alla base del conflitto vi è non solo una comunicazione non efficace ma anche una non gestione delle emozioni e dei propri bisogni.
Spesso si pensa al conflitto sempre in termini negativi, ma esso può avere anche una valenza positiva in facilità la costruzione dell’identità e la maturazione psicosociale degli individui. Gli effetti del conflitto di solito non dipendono dalla natura del conflitto (ovvero dai perché dei conflitti) ma dalla qualità della relazione entro cui hanno luogo. Questo vale in ogni ambito della vita sociale. Non è l’assenza di conflitto a determinare il benessere. Anzi l’assenza totale di conflitto di solito segnala appiattimento, paura reciproca, rancori nascosti, immaturità. Molto raramente l’assenza totale di conflitto è indice di totale accordo. Quando non c’è conflitto (nel senso di visioni alternative) non c’è crescita nelle relazioni. Gli esiti del conflitto sono di vario tipo. Un esito possibile è la completa sottomissione all’autorità di qualcuno (uno cede ad un altro), un altro è il compromesso (tutti concedono qualcosa agli altri). Spesso, quando le persone non riescono a trovare in sé la capacità di risolvere conflitti, si affidano alla mediazione di un terzo. Altre volte la strategia è il disimpegno, una vera e propria fuga dall’ambito conflittuale (quieto vivere) che di solito porta ad esplosioni di conflitto ancora più ampio in un secondo momento. Numerose ricerche indicano come gli adolescenti preferiscano il compromesso come soluzione ai conflitti coi genitori mentre la sottomissione è ancora l’esito più frequente (soprattutto nella prima e media adolescenza). Apprendere l’arte del compromesso è qualcosa di possibile. Innanzitutto va detto che il compromesso si attua attraverso la concessione reciproca; tutti lasciano qualcosa ma tutti guadagnano qualcosa. E’ proprio la sensazione piacevole di aver vinto tutti che fa sentire le persone bene e che permette di affrontare successivi conflitti senza eccessivi patemi. Ogni esito positivo ad un conflitto accresce le capacità di tutti di far fronte alle difficoltà della vita, aumenta la comprensione e l’accettazione reciproca, facilita la comunicazione ed aumenta l’intimità, l’interdipendenza e l’autostima. Di solito è più facile trovare la semplice metà (o imporsi) ed infatti non tutte le persone imparano a gestire bene i conflitti per cui tendono a risolverli in fretta perché i conflitti vengono considerati pericolosi. Per questo si alimentano nuovi e più aspri conflitti.
Questo è quello che succede in vari contesti e situazioni ma è sempre più frequente in ambito familiare e nella relazione di coppia. Di questi continui conflitti chi ne fa le spese sono proprio i figli. La conseguenza di tutto questo è molto spesso la separazione che rappresenta un evento destabilizzante per l’intero nucleo familiare ed in misura maggiore per un minore. Essa è un’esperienza dolorosa per il bambino, perché “attacca la sicurezza del suo nido”, e proprio per questo quando è possibile, è meglio evitargli tale esperienza. Però questo non significa vivere insieme per il suo bene, facendogli poi pagare la cosa in modo diverso: non più affettuosità tra i genitori, silenzi, indifferenze, letti o addirittura camere separate. Nella mia esperienza di terapeuta familiare spesso mi capita di dover affrontare con i miei pazienti il tema del “non mi separo per il bene dei miei figli”, e ancora, “forse quando saranno maggiorenni effettuerò un cambiamento così difficoltoso”.
La cosa più importante è rimuovere le difficoltà che sono all’interno della coppia, magari anche con un intervento psicologico, quando è possibile, per il proprio benessere e per quello dei propri figli.
In questa situazione di cambiamento i figli possono attraversare un momento di confusione e di disordine emotivo dovuto alla diminuzione del senso di stabilità e di sicurezza di fondamentale importanza durante il loro percorso di crescita.
Il quadro si complica quando la relazione tra gli adulti di riferimento è quotidianamente attraversata da un’elevata conflittualità, che purtroppo, in non pochi casi, si esplica in rivendicazioni continue ed aggressioni, non solo verbali.
La conflittualità tra coniugi ha generalmente inizio già prima della decisione della coppia di separarsi e perdura solitamente ben oltre la separazione.