Cos'è la regolazione emotiva?
La regolazione delle emozioni è una componente importante della competenza emotiva, che si sviluppa nei primi anni di vita e ha particolare importanza per lo sviluppo di un adeguato e flessibile comportamento sociale (Eisenberg et al., 1996, Fox e Calkins, 2003). La regolazione emotiva può essere definita come la capacità individuale di regolare le proprie emozioni, sia positive che negative, attenuandole, intensificandole o semplicemente mantenendole (Gross, 1998; 2007).
Nel tempo sono state diverse le definizioni che si sono sviluppate. Thompson ha definito la regolazione emotiva come quel processo che, consciamente o inconsciamente, esercita un’azione di monitoraggio, valutazione, modificazione, e più in generale, di mediazione della risposta emotiva (Thompson, 1994, citato in Barone, 2007).
Gross, che insieme a Thompson è uno tra i più significativi studiosi dell’argomento, definisce la regolazione emotiva come quell’insieme dei processi attraverso i quali le emozioni sono esse stesse regolate. I processi possono essere di tipo intrinseco, quando è il soggetto che agisce autoregolandosi (regulation in self), o di tipo estrinseco (regulation in other), quando qualcuno agisce per regolare le emozioni dell’altro.
La regolazione delle emozioni inizialmente è mediata dal caregiver, successivamente nel corso dello sviluppo si presenta come una modalità maggiormente autonoma e consapevole.
Volendo tracciare le principali fasi dello sviluppo della regolazione emotiva possiamo individuarne la prima che copre il primo anno di vita in cui è fondamentale il ruolo esterno dell’adulto per dare significato alle esperienze del bambino, ad esempio rispondendo prontamente al pianto o ai sorrisi. Tuttavia sono presenti anche condotte di autoregolazione, come la suzione del pollice per calmarsi o il distogliere lo sguardo da uno stimolo eccitante. Inizialmente tali condotte sembrano automatiche per poi divenire sempre più consapevoli nel corso del primo anno.
Tra i 12 e i 36 mesi le strategie di regolazione emotiva sono prevalentemente di tipo comportamentale, infatti si osservano condotte di evitamento di situazioni indesiderate, la ricerca attiva di alcune persone, la richiesta di vicinanza e il contatto fisico per ottenere conforto, sicurezza e consolazione. Inoltre grazie alla capacità di gioco simbolico e di finzione i bambini iniziano ad utilizzare l’attività ludica per rielaborare e dare un senso ad esperienze emotive intense. In tale periodo il caregiver, pur avendo un ruolo minore nella regolazione emotiva, continua comunque a svolgere una funzione fondamentale, soprattutto fornendo sostegno durante esperienze emotive intense e di lunga durata.
Successivamente, nel periodo prescolare (3-5 anni circa), matura gradualmente la capacità di autoregolazione emotiva. Anche in questa fase la mutua regolazione tra bambino e genitore è importante ma in maniera diversa. La figura del genitore è usata come base per contenere gli impulsi, definire i limiti e le regole, mentre il bambino assume gradualmente un ruolo più attivo e promotore di iniziativa. Il pieno sviluppo della capacità di giocare e di utilizzare gli oggetti e le persone in modo simbolico rappresenta una forma fondamentale di regolazione emotiva che, utilizzata insieme al linguaggio, aiuta nella gestione delle emozioni. Inoltre la conoscenza di una gamma più estesa e articolata di emozioni gli consente di incrementare le proprie capacità espressive e di indirizzare la richiesta emotiva in maniera finalizzata.
Dopo i 5-6 anni i cambiamenti nell’ambito dello sviluppo cognitivo, sociale e morale comportano l’adozione di strategie regolatorie più mirate e complesse che consentono al bambino di mettere in atto meccanismi di appraisal più specifici e strategie di coping appropriate ai diversi contesti sociali (Saarni, 1999, citato in Barone, 2007). Il bambino utilizza, in maniera più continua ed efficace, varie strategie di regolazione emotiva in sé e negli altri, ad esempio non pensando alle fonti di sofferenza, ma anche spingendo l’altro a non pensare per aiutarlo nei momenti di stress.
Bowlby (1968) teorizza l’attaccamento come un sistema motivazionale primario, ovvero una predisposizione biologica del bambino verso il caregiver (figura che si prende cura di lui). La sua funzione biologica è quella di garantire la sopravvivenza mentre quella psicologica è di ottenere un senso di sicurezza interna, attraverso il contatto e la prossimità fisica. Secondo Bowlby esiste un periodo sensibile, nei primi 2-3 anni di vita, durante il quale vi è lo sviluppo del rapporto affettivo, tra bambino e caregiver, suddivisibile in quattro fasi.
• Nella prima fase, definita di pre-attaccamento, il bambino orienta i propri segnali senza discriminazione verso gli adulti con cui interagisce.
• Nella seconda fase, invece, rivolge i propri segnali verso una o più persone discriminate. Verso il sesto-ottavo mese inizia la fase di attaccamento vera e propria in cui il bambino protesta per la separazione dalla figura di attaccamento e utilizza quest’ultima come base sicura per esplorare l’ambiente.
• Infine l’ultima fase, a partire dai 18 mesi del bambino, è caratterizzata dalla costruzione da parte di quest’ultimo dei Modelli Operativi Interni, ossia rappresentazioni mentali di se stesso e dell’altro che riflettono la storia relazionale del bambino con l’adulto di riferimento (Bretherton, 1985, citato in Simonelli e Calvo, 2002).
Perché la regolazione emotiva è così importante per il nostro benessere psicofisico? La disregolazione delle emozioni corrisponde alle difficoltà di gestire o elaborare efficacemente le emozioni, e può manifestarsi con una loro eccessiva intensificazione o al contrario con una loro disattivazione. Nel primo caso saremo portati a vivere l’attivazione emozionale come intrusiva e travolgente; nel secondo caso invece potremmo andare incontro ad un appiattimento emotivo anche verso quelle esperienze che solitamente dovrebbero destare un’attivazione emotiva. Al contrario, la regolazione emotiva è così importante proprio perché ci consente un buon adattamento, ovvero l’utilizzo di strategie di coping che promuovono reazioni adattive, garanti di un buon funzionamento della persona a medio e lungo termine. Le emozioni, quindi, ci aiutano a considerare diverse alternative, ci motivano ad agire per mettere in atto un cambiamento e ci informano su quali siano i nostri bisogni ed una buona regolazione emotiva è utile e funzionale al nostro benessere psicofisico.
Come educare i bambini alla regolazione emotiva?
La sfida è educare alle emozioni. Perché, solo preparando i bambini a gestire correttamente la propria emotività, potranno usufruire di quel bagaglio interiore necessario per vivere al meglio e per relazionarsi con gli altri in modo equilibrato e sereno. E spetta ai genitori, ai nonni, agli adulti di riferimento riuscire (caregiver) a sottrarre i bambini a quell'analfabetismo emotivo che è spesso alla base di tanti comportamenti dannosi. Un impegno che deve iniziare fin dai primi istanti di vita del neonato, per proseguire e svilupparsi lungo l'età evolutiva .sono tante le domande e gli interrogativi che si pongono i genitori che ho incontrato nel mio percorso lavorativo.
È giusto usare l’ ansia o la tranquillità, la rabbia o l’equilibrio: ogni persona sarà quello che l'educazione alle emozioni avrà saputo costruire.
Che cosa fare? Come si puo’ migliorare?
Non è necessario essere genitori speciali o avere chissà quali competenze. Per educare davvero serve soprattutto saper ascoltare, riuscire a percepire lo stato emotivo del bambino, entrare nella sua "sregolazione" interiore. E saper fare chiarezza. Con decisione e autorità, ma anche con dolcezza. E' dunque inutile e controproducente arrabbiarsi per i capricci dei bambini, mostrare rabbia o stanchezza o mostrarsi confusi aggrava solo la situazione : si deve rimanere tranquilli, far vedere al piccolo che mamma o papà sanno "addomesticare" e placare la sua "esplosività.
" Sono i genitori con le loro interazioni, ovvero con ciò che dicono e fanno quando il piccolo sperimenta uno stato emotivo" a fornire ai bambini quella competenza che si struttura, organizza e sviluppa nell'età evolutiva e che poi durerà tutta la vita
Genitori tranquilli, positivi, non ansiosi, capaci di rispondere al pianto del bambino in tempi adeguati e selezionando la risposta giusta in grado di fargli conquistare tranquillità e serenità e riportarlo ad uno stato di calma, stanno - così facendo - "costruendo" le sinapsi nervose che permetteranno a quel bambino di conquistare una buona regolazione emotiva. Un altro momento cardine per l'educazione emotiva del bambino è il periodo intorno al secondo anno di vita, quando lui può autodeterminare - almeno in parte - il proprio comportamento, dire no e intrattenere uno "scontro aperto" con i genitori. Si tratta dei "terribili due anni" di cui ho già parlato nell’articolo precedente di gennaio.
L'educazione alle emozioni prosegue poi nella scuola dell'infanzia, dove il bambino, grazie all'intervento educativo dell'adulto, può imparare a riconoscere, discriminare e condividere i propri stati emotivi, nominandoli uno per uno e differenziando, per esempio, la rabbia dalla tristezza, la paura dal disgusto. Ma il lavoro di educazione emotiva per un genitore non ha mai fine. E’ di fondamentale per l'adulto conoscere l'ABC dell'educazione emotiva e comportarsi di conseguenza.
INTERVENTI POSSIBILI DI EDUCAZIONE ALL’EMOTIVITÀ
Nella mia esperienza da psicologa, sono stati diversi gli interventi di educazione all’emotività che ho svolto sia nell’ambito privato sia pubblico.
Uno degli ambiti in cui è fondamentale attivare degli interventi di promozione al benessere dei bambini nelle diverse fasce d’età è l’ambiente scolastico, in cui è possibile attivare laboratori di educazione alle emozioni per favorire il riconoscimento e la gestione dell’emotività, con l’obiettivo di favorire l’empatia e il riconoscimento dell’altro, come persona fondamentale nel processo di socializzazione. Anche i laboratori creativi sulle emozioni sono importanti e aiutano il bambino a stimolare la creativa e la sensibilità nei confronti dei suoi pari.
Anche gli incontri di informazione per i genitori favoriscono l’alfabetizzazione delle emozioni e rendono maggiormente sicuri i genitori nelle modalità di educazione verso i propri figli.