Chi non ha mai sentito parlare dei temibili terrible two? Spesso mi capita di lavorare con genitori che hanno figli di età compresa tra i 18 e i 36 mesi, in preda ad una vera e propria “crisi di nervi”.
Questa è la fascia d’età in cui i bambini cambiano il proprio comportamento. Raggiungendo il traguardo dei cosiddetti “terribili due anni”, in inglese “terribile two”, entrano nell’età del no. Tutti i bambini attraversano questa fase, che fortunatamente di solito dura pochi mesi.
I bambini diventano testardi e capricciosi, dicono di no a qualsiasi proposta, anche quando la gradiscono. Cercano di sfidare gli adulti e certe volte si lasciano andare a crisi ‘isteriche’ o capricci inconsolabili. Potremmo considerarli come dei veri e propri atteggiamenti oppositivi. E’ proprio in questo periodo di vita che i genitori vanno un po’ in crisi con i loro bambini.
Gli esperti ritengono che l’età del no sia molto importante perchè è un percorso obbligato per il raggiungimento dell’indipendenza ed è quindi un periodo molto positivo e funzionale alla crescita individuale. I genitori devono comprenderlo e accettarlo.
Si tratta di una vera e propria tappa evolutiva del tutto normale e direi, quasi del tutto fisiologica. Infatti è una fase funzionale che aiuta a raggiungere l’indipendenza e l’autonomia. Il bambino infatti scopre di essere un individuo a se’ rispetto alle sue figure di attaccamento (caregiver) che fino a questo momento si sono prese cura di lui. Figure di riferimento fondamentali per l’acquisizione della sua sicurezza e della sua autonomia.
I no e quindi gli atteggiamenti oppositivi rappresentano per il bambino l’unico strumento a disposizione per affermare che è una persona diversa da mamma o papà. Essendo una tappa evolutiva funzionale alla crescita del bambino non dovremmo preoccuparci del fatto che i bambini in questo periodo hanno bisogno di esplorare l’ambiente circostante per sentirsi individui a se’.
Intorno ai due anni, il bambino inizia ad affermare la propria identità. Lui stesso è però incerto del suo nuovo modo di essere e di vivere e gestire le emozioni. Il bambino si trova di fronte ad una ambivalenza esagerata. Da un lato, il bisogno di esplorare e di allontanarsi dalle sue figure di attaccamento e dall’altro, il bisogno esagerato di vicinanza e di sicurezza da parte delle figure di attaccamento. Quindi attraverso i no il bambino esprime entrambi questi vissuti: “sono grande e voglio fare da solo” ma “ho ancora bisogno della tua vicinanza”.
Spesso sento dire dai genitori che i bambini hanno questi atteggiamenti per fare loro dei dispetti ma non è cosi. Questo atteggiamento ha una spiegazione psicologica e fa parte della normale crescita evolutiva dei bambini.
Il bambino inizia a sperimentarsi con le emozioni contrastanti di rabbia e frustrazione. Tutto non procede come desidera lui e quindi il suo mondo interno dovrà fare i conti con la realtà circostante (non tutto va come desidera lui), inizia ad avere a che fare con le regole e con i no dei genitori.
Il bambino avrà bisogno di tempo per imparare a gestire le proprie emozioni. L’acquisizione e la gestione adeguata delle emozioni farà parte della tappa evolutiva successiva al terrible two. Questa tappa verrà acquisita in maniera adeguata solo se i genitori aiuteranno il bambino nella gestione e nella competenza emotiva. I genitori dovranno essere calmi e pazienti.
Spesso loro stessi si sentono inadeguati e poco competenti nella gestione di questa fase evolutiva.
Alcuni genitori rischiano di assumere atteggiamenti rigidi, altri ripongono eccessive attese nei confronti del comportamento del bambino.
Per sopravvivere a questa fase, importante per la crescita del bambino, ma faticosa per i genitori, è necessario conoscere cosa sta realmente accadendo al proprio bambino. Sarà d’aiuto seguire alcune indicazioni pratiche, ma soprattutto sarà fondamentale dare la giusta importanza alle emozioni.
Spesso un no è la manifestazione dell’incapacità di comunicare sensazioni e vissuti. Un bambino di due anni, non ha ancora imparato ad esprimere a parole le proprie emozioni. Per questo i genitori dovranno fungere da “contenimento dei vissuti” e tradurre ciò che il proprio figlio non è in grado di comunicare, dando un nome ad esempio alla rabbia, alla paura, alla delusione.
Inoltre, il bambino non solo ha bisogno di comprendere il proprio mondo interiore, ma anche di sapere che i suoi comportamenti hanno un impatto emotivo e delle conseguenze sugli altri. Nel fare questo è importante disapprovare i suoi comportamenti e non lui. È necessario evitare di dire al proprio bambino “sei cattivo!”, ma piuttosto, “hai sbagliato, il tuo comportamento non è corretto…”. E’ fondamentale sottolineare i comportamenti positivi dei bambini evitando di sottolineare sempre gli atteggiamenti sbagliati. Questa modalità di relazionarsi con i propri bambini è fondamentale per uno sviluppo sano e adeguata dell’autostima.